Il nemico invisibile: dalle fibre di amianto al COVID-19, la sfida di gestire il rischio per chi lavora in cantiere
20 aprile 2020
20 aprile 2020
Le analogie tra la gestione del rischio salute e sicurezza contro il contagio da coronavirus e contro l’esposizione all’amianto sono molteplici.
Quando ho cominciato a vedere in televisione i medici e gli infermieri che si preparavano per il loro turno di lavoro indossando tute impermeabili, guanti e mascherine mi è subito venuto in mente il paragone con i cantieri dove avviene la bonifica dell'amianto e dove spesso mi sono trovato ad operare in prima persona. Le analogie tra la gestione del rischio salute e sicurezza contro il contagio da coronavirus e contro l’esposizione all’amianto mi sono subito sembrate molteplici: la necessità di proteggersi con dispositivi di protezione individuale specifici, di decontaminarsi alla fine del turno di lavoro, il fatto che il “nemico” è invisibile (sia il virus sia l’amianto non si vedono ad occhio nudo), la pericolosità a carico, prevalentemente ma non esclusivamente, dei polmoni e dell’apparato respiratorio. La vera grossa differenza che ho notato, senza addentrarmi troppo in aspetti medici o biologici che non sono di mia competenza, risiede nel fatto che il virus è di natura organica e quindi, una volta lasciato un organismo, “ha le ore contate”; l’amianto, invece, che è un minerale, non si degrada e può essere respirato in ogni momento se le procedure di decontaminazione non sono state eseguite correttamente.
Penso, ma è una mia sensazione, senza alcun fondamento scientifico, che uno dei fattori psicologici che ha portato alla forte diffusione del virus che si è registrata, sia dovuta proprio al fatto che il virus è invisibile, e questo porta a sottovalutare il rischio. L’esplosione di un incendio o trovarsi davanti ad un animale pericoloso fanno immediatamente percepire il rischio per la propria incolumità e attivano i meccanismi della fuga per mettersi al riparo dal pericolo. Mentre la percezione del rischio derivante dagli aerosol che emettiamo con un respiro o con un colpo di tosse (così come quello di una fibra di amianto che “galleggia” invisibile nell’aria) è decisamente inferiore rispetto agli esempi appena fatti, in quanto non li vediamo (anche se ci sono). Scatta quindi un meccanismo, quasi automatico ed irrazionale, che porta a pensare: “sono forte, sono in buona salute, io di certo non prenderò il virus”. Da qui la necessità di fare uno sforzo mentale e indossare i dispositivi di protezione individuale anche se parrebbero superflui, ma soprattutto la necessità di applicare protocolli di gestione del rischio più stringenti quando si opera, come nel nostro caso, in cantiere. Quante volte questi ragionamenti vengono fatti durante corsi di formazione sull’amianto oppure nei confronti di operatori di cantiere che, sebbene abbiano ricevuto una formazione specifica, tendono a sottovalutare il rischio, anche solo per l’abitudine di averci a che fare ogni giorno!
Tutti noi, del resto (anche chi non aveva già queste nozioni per la frequentazione di un cantiere), in queste ultime settimane, abbiamo dovuto prendere familiarità con i modelli di mascherina (FFP2, FFP3, mascherine chirurgiche, ecc.) e con le modalità per indossarle. Leggevo in questi giorni sui social media di una persona che si lamentava dei fastidi provocati dalla mascherina a chi porta gli occhiali: l’appannatura delle lenti, la scomodità di appoggiare gli occhiali sul naso dove c'è già la mascherina. Purtroppo, per quello che oggi è dato ragionevolmente di pensare, dovremo fare l'abitudine con l'utilizzo di questi sistemi di protezione ancora per un lungo periodo, fino a quando la scienza medica non ci consegnerà un vaccino contro il virus. Tutti noi stiamo prendendo coscienza di quanto sia faticoso respirare indossando una mascherina; proviamo a pensare quanto possa essere faticoso svolgere un lavoro che richiede un impegno fisico (come può essere quello di bonificare l’amianto in un cantiere, o di quello di medici ed infermieri), per un’intera giornata lavorativa, tutti i giorni, respirando attraverso una maschera (che spesso, per ovvie ragioni, è più “coprente” perché più protettiva rispetto a quelle di carta che tutti oggi abbiamo conosciuto); indossando, inoltre, una tuta in carta che, appositamente, non è traspirante! Solo chi l’ha provato, in un cantiere, magari d’estate, può capire!
Normalmente, a meno di casi particolari, il personale sanitario non operava in ospedale con i sistemi di protezione appena citati, mentre è la normalità per chi lavora a contatto con l’amianto. Nel caso dell’amianto, una volta effettuata la procedura di decontaminazione all'uscita dal cantiere, si poteva riprendere la vita “normale” e ritornare a casa, in sicurezza, dai propri cari. Oggi, invece, il virus sottopone il personale sanitario ad ulteriori difficoltà, anche dopo aver concluso il turno di lavoro ed essere ritornato a casa. Alcuni amici (lei medico pneumologo in un ospedale lombardo) mi raccontavano (ovviamente a distanza!) della difficoltà di dover fare una vita “separata” anche tra le mura domestiche: stare sempre con la mascherina anche in casa, dormire in stanze separate, non avere la possibilità di prendere in braccio i figli piccoli, ecc.
Questo virus è nuovo e per molti versi ancora sconosciuto. Non abbassiamo la guardia e non sottovalutiamo il rischio, anche se il nemico è invisibile a occhio nudo. Impariamo a proteggerci in attesa che le cose cambino!