Progettare “sistemi viventi” per adattarsi al cambiamento climatico
07 giugno 2022
07 giugno 2022
In che modo l’integrazione di vegetazione e “living systems” offre maggiore adattabilità, vivibilità e flessibilità rispetto ai sistemi convenzionali
Questo articolo, tradotto dall’inglese, è stato pubblicato originariamente sul blog internazionale di Stantec. Traduzione e adattamento di Marco Lassini.
“Da professionista del settore mi sono spesso chiesto se, effettivamente, siamo consapevoli dei cambiamenti in atto nel pianeta e se, quando scegliamo di non agire, capiamo cosa ci frena. Come giustamente osservato nell’articolo che segue, i sistemi viventi, che personalmente preferisco chiamare con il termine “Nature Based Solutions”, sono sistemi a volte anche complessi, ma non per questo difficili. Si tratta di conoscere cose nuove, cosa c’è di più affascinante…! Ecco quindi che l’articolo ricorda la necessità della condivisione delle esperienze come primo strumento di familiarizzazione con questi sistemi, a volte lontani dalle nostre abitudini progettuali. In tutti i casi, si tratta di riconoscere ed apprezzare la bellezza di questa complessità che, se poi andassimo a vedere, altro non è che la NATURA che già ci circonda. Prima ancora di progettare sistemi viventi credo si renda necessario imparare a riconoscere le funzioni che la natura già compie, in silenzio, da tempo, conservarle e valorizzarle. Credo che i tempi siano maturi per questo approccio e che sia finito il tempo del “si è sempre fatto così” o “è troppo difficile”.”
Quello che segue è un estratto da Climate Change and the Built Environment pubblicato durante l'American Council of Engineering Companies (ACEC). Gli autori hanno contribuito al capitolo "Climate Adaptive Stormwater Management: A Living Systems Approach".
La sfida progettuale più significativa davanti alla quale ci pone il cambiamento climatico non è rappresentata dall’innalzamento dei mari o dalle alluvioni, bensì dall’incertezza.
L’incertezza rispetto a quanto drammaticamente il cambiamento climatico altererà i modelli meteorologici, quanto velocemente la calotta glaciale antartica si scioglierà, quanto presto i mari si alzeranno e se potremmo mai ridurre significativamente le nostre emissioni di carbonio. L'incertezza ci induce a soffermarci sui danni causati da disastri più recenti, lasciandoci vulnerabili di fronte a rischi futuri, che vediamo come lontani e quasi improbabili. L'incertezza antepone la sicurezza alla qualità della vita, inducendoci a potenziare impianti, elevare argini, costruire infrastrutture costose per proteggerci dalle acque. L'incertezza può portare a una distribuzione iniqua delle misure di protezione e, forse come conseguenza di tutto, l'incertezza può portare all’incapacità di prendere decisioni e agire.
L'incertezza è la nostra più grande sfida progettuale, eppure spesso i sistemi utilizzati per affrontare i cambiamenti climatici sono fondamentalmente inadatti a fronteggiarla. Molti di questi sistemi rimuovono o alterano le naturali dinamiche ecologiche e idrologiche: eliminano l'acqua piovana, bloccano l’arrivo di temporali, oppongono resistenza alle onde. In qualche modo, mitigano il rischio da un lato, ma lo ingrandiscono dell’altro. Questi sistemi non offrono soluzioni al di là di una certa contingenza; cambiare questo approccio significa trovare soluzioni a lungo termine.
Proteggersi è necessario, ma fare solo questo non è sostenibile. Ci vuole una grande dose di ottimismo per pensare che, anche se viviamo in un contesto storico di incertezza e di rischio senza precedenti, stiamo “bene”. Possiamo realizzare infrastrutture di protezione costiera abbastanza efficaci da proteggerci dalle mareggiate, senza al contempo coprire di cemento i lungomari? Possiamo rendere i nostri quartieri più belli e abitabili oltre che resilienti? Possiamo collaborare al di là dei confini locali per agire su più livelli di protezione rafforzata? Possiamo lavorare come una comunità per garantire soluzioni efficaci per tutti?
Queste domande che ci siamo posti nella nostra esperienza ci hanno portato a considerare il ruolo di sistemi "più morbidi" come una delle risposte possibili a nuovi imperativi. Abbiamo esplorato modi per sostituire o migliorare ciò che è stato convenzionalmente progettato come un’infrastruttura grigia, con quelli che chiamiamo "living system" o “sistemi viventi”, per raggiungere o contribuire agli stessi obiettivi, che si tratti di barriere frangiflutti, miglioramenti della qualità dell'acqua o mitigazione delle inondazioni.
I sistemi viventi possono essere strumenti di adattamento e migliorano intrinsecamente la qualità della vita per la nostra e per altre specie. Mostrano anche un concetto evoluto di resilienza, comunemente definita come la capacità di "riprendersi" e tornare allo stato pre-evento dopo un punto di rottura; e la misura della resilienza di una comunità è la velocità con cui riesce a ritornare in quello stato.¹
Ma il ritorno allo status quo non è necessariamente fattibile o auspicabile. Al contrario, dovremmo usare il punto di rottura come un'opportunità per migliorare e ottenere dei feedback sui sistemi esistenti. Questo concetto di resilienza richiede interventi che pieghino piuttosto che rompere, consentendo un impatto senza distruzioni totali. Servono sistemi che mantengano la funzionalità all'interno di una serie di condizioni ambientali, in assenza come in eccesso di acqua. La resilienza non può essere uno stato statico o un obiettivo finale; deve essere inteso come una capacità di evolversi e crescere di fronte a condizioni mutevoli.
I sistemi viventi hanno la capacità di auto-ripararsi e adattarsi, la flessibilità di rispondere ai cambiamenti di condizione nel breve termine e l'adattabilità per evolversi nel tempo. Anche il concetto di ridondanza è fondamentale. La ridondanza migliora l'affidabilità, riduce i rischi e consente la continuità operativa. La ridondanza può essere realizzata come un insieme di diversi sistemi viventi stratificati su una gamma di livelli, ad esempio installazioni di infrastrutture verdi urbane, riconnessioni di piane alluvionali e litorali viventi potrebbero contribuire alla resilienza di una città.
Il pensiero sistemico richiede l'analisi dei sistemi che interagiscono oltre i confini di un sito, per comprendere i potenziali impatti sinergici che un intervento svolto in un sistema ha sugli altri.² Significa considerare gli impatti a valle, lungo un corso d’acqua e sull'ecosistema, per garantire benefici a tutti i sistemi.
I sistemi viventi sono spesso accompagnati da benefici collaterali estetici, ricreativi o di habitat. Possono lasciare spazio a parchi o bellezze naturali, da apprezzare anche quando non sono attivate le funzioni protettive. Sebbene l’espressione “beneficio collaterale” di un progetto possa far sembrare questi aspetti secondari rispetto alle funzioni di sicurezza o di controllo delle inondazioni, essi in realtà contribuiscono alla resilienza sociale, alla salute della comunità e alla qualità della vita. La progettazione che concilia diversi ambiti di utilizzo è necessaria nell’attuale contesto di incertezza climatica; ha scopo, funzione, rilevanza e beneficio all'interno di una vasta gamma di scenari e garantisce il ritorno sull'investimento indipendentemente dai risultati futuri.
La progettazione dei sistemi naturali richiede team multidisciplinari e talvolta coinvolge architetti paesaggisti ed esperti di ambiente, professionisti abituati a pensare in modo ampio e a progettare funzioni ricreative, a creare habitat e a valorizzare l’estetica di un luogo. Questi professionisti possono fornire ampia capacità di analisi, identificare più obiettivi di progettazione e quindi assemblare un team diversificato di esperti per raggiungere gli obiettivi del progetto. I sistemi viventi non prevedono un ammorbidimento dell'approccio, ma, al contrario, un ampliamento della prospettiva.
Quando li descriviamo, ci riferiamo sia a un approccio basato sull'analisi dei sistemi e sull'impegno della collettività, sia a un intervento fisico, che alimenta i processi naturali, prevede l'adattamento e tiene conto dell’estetica dei luoghi, oltre che della protezione del territorio. I sistemi viventi sono promettenti strumenti di adattamento perché si adeguano al cambiamento delle condizioni, a volte cambiando perfino se stessi. Crediamo che, come progettisti, abbiamo la responsabilità di fare lo stesso. L'urgenza della crisi climatica richiede di essere proattivi nello sviluppo di approcci progettuali e nella promozione di soluzioni innovative. Dobbiamo monitorare i progetti che portiamo a termine e condividere generosamente le conoscenze. Di fronte all'incertezza, il potere dei progettisti di immaginare il futuro, di amplificare l'immaginazione dei nostri clienti e stakeholder e di portare ad azioni concrete è di fondamentale importanza. Non dobbiamo sottovalutare il nostro ruolo, né sottovalutare la nostra responsabilità nella realizzazione di un futuro più vivibile.
1 Bogardi, J. and Fekete, A., 2018, “Disaster-Related Resilience as Ability and Process: A Concept Guiding the Analysis of Response Behavior Before, During and After Extreme Events,” American Journal of Climate Change, 7, 54-78. doi: 10.4236/ajcc.2018.71006.
2 Elmqvist et al., “Urban Tinkering,” Sustainability Science. 2018; 13:1549–1564. Pubblicato online il 6 Agosto 2018 https://doi.org/10.1007/s11625-018-0611-0.