Le conseguenze del cambiamento climatico sui flussi migratori
17 gennaio 2018
17 gennaio 2018
Si può parlare di ecoprofughi e rifugiati ambientali?
Nel 2010, il Norwegian Refugee Council (NRC) afferma che più di 42 milioni di persone nel mondo sono state forzate a spostarsi a causa dei disastri ambientali nati da improvvisi eventi naturali.
Se guardiamo invece le statistiche del 2011 dell’International Disaster Database (EM‐DAT), la situazione è peggiorata perché i danni ambientali hanno colpito tutti i continenti provocando vittime umane e disastri economici. Si sono verificati, infatti, 302 disastri con circa 206 milioni di persone colpite e una stima di danni economici pari a 380 miliardi di dollari. Solo i danni causati dal terremoto e lo tsunami in Giappone hanno provocato danni economici di 20 miliardi circa.
Il rapporto presentato dall’Internal Displacement Monitoring Agency, stima che dal 2008 al 2014, 157 milioni di persone siano state obbligate a spostarsi per eventi meteorologici in conseguenza di disastri naturali, ed entro il 2050, con una media di sei milioni di persone all’anno, il 60% in più rispetto al 1975, diventeranno 250 milioni.
È lampante ormai che, a causa delle catastrofi naturali che sempre con più frequenza colpiscono la Terra, milioni di persone sono costrette a fuggire dai propri paesi alla ricerca di condizioni di vita migliori. Sono i cosiddetti “migranti o rifugiati ambientali”, definiti anche “ecoprofughi”.
Nonostante l’opinione scientifica internazionale concordi sul fatto che un aumento dei rischi ambientali sia strettamente collegato al cambiamento climatico causato dall’uomo e delle sue attività, non si riscontra la stessa convergenza di opinioni nell’identificare quali saranno le possibili conseguenze di questi disastri sulle attività umane, compresa la migrazione umana.
Siamo a un punto in cui il cambiamento climatico - all’origine dell’innalzamento del livello degli oceani, conseguente allo scioglimento dei ghiacci, e della desertificazione di vaste aree del pianeta – non rappresenta solo una grave minaccia per l’ambiente ma anche un rilevante fattore geopolitico in grado di determinare e influenzare fenomeni migratori di grandi dimensioni.
Purtroppo però, allo stato attuale dei fatti, non esistono stime affidabili della migrazione causata dal cambiamento climatico perché, nonostante l’esistenza di numerosi strumenti internazionali per proteggere l’ambiente, non esiste una protezione legislativa internazionale adeguata per questa categoria di migranti, perché le cause ambientali delle migrazioni non sono ad oggi riconosciute dal diritto internazionale.
Come già accennato, le previsioni per il futuro non sono molto rassicuranti. Secondo lo scienziato Mayer - la cui tesi è la più accreditata dai maggiori studiosi e dalle maggiori istituzioni internazionali – entro il 2050 si raggiungeranno i 200/250 milioni di rifugiati ambientali e secondo il Programma delle Nazioni Unite sull’Ambiente (UNEP) nel 2060 in Africa ci saranno circa 50milioni di profughi climatici. Anche l’International Organization for Migration (Iom) stima che entro il 2050 saranno circa 200 milioni i migranti climatici che saranno costretti a spostarsi stabilmente all’interno dello stesso Paese o all’estero. Al riguardo, il New York Times ha condotto un’interessante un’operazione: ha incrociato i dati delle Nazioni Unite su rifugiati, richiedenti asilo e sfollati, con un indice della Nasa che misura il grado di cambiamento climatico in tutto il mondo dal 2012 al 2016. Da questa combinazione sono emerse cinque zone del pianeta dove gli sconvolgimenti ambientali hanno già messo in moto importanti fenomeni migratori.
Il progressivo scioglimento dei ghiacci sulla catena montuosa che attraversa il Sud America sta riducendo le riserve d’acqua dolce in tutta la pianura andina. Per questo motivo un numero maggiore di persone si sposterà verso il bacino dell’Amazzonia. Molti migranti sono già arrivati nella zona e per sopravvivere lavorano illegalmente nelle miniere e nelle piantagioni di coca, alimentando l’ascesa dei sindacati criminali.
A causa della desertificazione, dal 1963 il lago – risorsa vitale per Camerun, Ciad, Niger e Nigeria – si è ridotto di oltre il 90%, una catastrofe aggravata dall’insurrezione di Boko Haram, che ha portato allo spostamento di 3,5 milioni di persone, di cui molti diretti verso l’Europa.
Nel 2007 la Siria orientale, insieme alla Turchia, all’Iraq settentrionale e all’Iran occidentale, è stata colpita da una grave siccità durata tre anni, la peggiore mai registrata. Questo ha spinto circa 1,5 milioni di persone a spostarsi dalle aree rurali alle città.
Dal 1975 i deserti sono aumentati di circa 34mila chilometri. Per far fronte al problema, il governo cinese, secondo il New York Times, ha costretto centinaia di migliaia di “migranti ecologici” – molti dei quali appartenenti a minoranze religiose o etniche – ad abbandonare le zone della Cina settentrionale colpite dal fenomeno.
Dal 2013, nelle Filippine quasi 15 milioni di persone sono state sfollate a causa di eventi climatici estremi causati dal riscaldamento degli oceani e che saranno sempre più frequenti.
Alla luce di quanto esposto e delle previsioni future, il XXI secolo potrebbe aggiudicarsi l’etichetta di “Secolo dei rifugiati ambientali”, nonostante lo status non sia stato ancora riconosciuto dalle leggi internazionali.
Legambiente – Profughi ambientali. Cambiamento climatico e migrazioni forzate
New York Times – How A Warming Planet Drives Human Migration
UNESCO – Changing Climate, Moving People
Organizzazione – Climate and Migration Coalition