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Urban sprawl: ripartiamo dalle periferie

04 maggio 2018

di Emiliano Patanè

Il consumo di suolo in Italia è oltre la media europea. Siamo tra i paesi più urbanizzati in Europa.

Tre anni fa, in un auditorium della facoltà di Architettura della Columbia University, Renzo Piano disse: «La missione dell’architettura in questo secolo è salvare le periferie. Se non ci riusciamo sarà un disastro, non solo urbanistico, ma anche sociale». Come sono nate le periferie urbane e perché oggi sono così?

Già con la Rivoluzione Industriale ottocentesca, la periferia assume quel connotato negativo di “lontano dal centro, lontano dalla civiltà”. Con la società capitalista del Novecento poi, le periferie si espandono, pronte ad accogliere le masse di lavoratori che si moltiplicano a dismisura: la città pensata come una macchina, necessita di nuovi spazi in cui estendere i propri bisogni. Per questo motivo le città si ampliano ovunque in tutta Europa, alcune divorano gli spazi limitrofi, altre realizzano periferie ex novo (Roma ne è un esempio).

Dall’inizio del XIX sino agli sgoccioli del XX secolo la periferia prova a reinventarsi in tutti i modi, ma probabilmente solo l’urbanista inglese Ebenezer Howard con il suo “To-morrow, a peaceful path to real reform” riesce a cogliere i limiti di questi nuovi spazi e fissare un obiettivo ben preciso: migliorare le condizioni della classe operaia urbana rivoluzionando lo stesso concetto di ambiente urbano, attraverso un decentramento residenziale, produttivo, entro un processo di riorganizzazione territoriale di scala metropolitana allargata. La città giardino di Howard rimane un’utopia, ma l’obiettivo di arrivare a ottenere una forma insediativa-organizzativa socialmente equilibrata e ambientalmente sostenibile è il punto di partenza su cui dovremmo basare la trasformazione delle periferie oggi.

Periferie oggi e prospettive future

Uno Studio Istat su “Forme, livelli e dinamiche dell’urbanizzazione in Italia” 1 fa emergere alcuni dati che richiamano l’attenzione degli esperti: il consumo di suolo in Italia è al 7% contro una media Ue del 4,1%. Dal 2011 al 2014 sono stati costruiti oltre 540.000 nuovi fabbricati, la maggior parte per utilizzo residenziale. Di fatto, l’Italia è uno dei Paesi più urbanizzati d’Europa e, nei sistemi locali, vive quasi un quinto della popolazione italiana.

Il fenomeno conosciuto come Urban Sprawl, inteso come l’espansione urbana disordinata e incontrollata verso zone periferiche unita al calo della densità abitativa (in pratica il consumo di suolo…), è uno dei più evidenti cambiamenti nell’uso del suolo nelle città di tutto il mondo. In Italia, nonostante l’aumento di flussi migratori in entrata e la costruzione di nuove infrastrutture, si sta verificando lo spostamento di una parte consistente della popolazione urbana nei comuni minori, dove i costi per l’abitazione sono ridotti, oppure nella campagna, che diventa sempre più urbanizzata, influendo quindi sull’espansione delle fasce periurbane, che tendono a svuotarsi.

Mentre negli Stati Uniti le periferie guadagnano terreno a livello sociale, vengono viste come spazi ideali per famiglie e rappresentano un sogno realizzabile di progresso e di benessere, in Italia il termine periferia viene associato immediatamente alla parola ghetto: i borghi operai che circondano Torino, Porta Ticinese a Milano, così anche Roma, Napoli etc.

Gli attuali studi sulle città europee sono ormai concordi nel considerare finito il periodo dell’espansione urbana, sostenendo la necessità di un nuovo approccio orientato alla densificazione (o ri-densificazione) e al recupero di aree urbane non utilizzate o male utilizzate, senza prevedere ulteriore consumo di suolo.

[...] sono proprio le periferie la città del futuro, quella dove si concentra l'energia umana e quella che lasceremo in eredità ai nostri figli. C'è bisogno di una gigantesca opera di rammendo e ci vogliono delle idee.”(Renzo Piano)

Nell’ultimo decennio lo scenario italiano conferma la ripresa della crescita delle aree urbane –dati al 31 dicembre 2015 – determinata in questa fase da un incremento della popolazione sia nei comuni periferici (circa 328 mila unità in più rispetto al 2011, variazione positiva sebbene meno sostenuta del periodo precedente), sia nei comuni centrali (poco meno di 500 mila nuovi residenti). Tale andamento è imputabile all’effetto combinato delle migrazioni interne e di quelle internazionali, e in via più generale alla componente straniera.

Dallo Studio ISTAT emerge che le discrepanze fra comuni centrali e periferici testimoniano il fatto che la città – intesa come comune principale dell’area urbana - viene ancora concepita come luogo privilegiato in cui rinvenire maggiori possibilità di crescita individuale e sociale. Inoltre, il concetto geometrico di periferia urbana ha perso il suo significato tradizionale di “ambito geografico con la massima distanza geografica e cronologica del centro situato nel cuore antico” (Lanzani; 2003)2, e si delinea in diverse forme di disagio sociale e urbanistico. La distribuzione territoriale della periferia urbana non è compatta, ma piuttosto si dispone in un sistema d’isole interconnesse che identificano un arcipelago di aree.

In questa nuova e più complessa trama urbanistica che si va delineando, si rilevano sempre di più zone di disagio nel territorio “più centrale” e viceversa “aree periferiche” con nuove centralità funzionali nei luoghi più vicini al confine geografico della città. Si rileva, ad esempio, nella città di Milano la centralità dell’ospedale collocato nell’area del Parco Lambro – Cimiano o la zona Stephenson, concepita come luogo di servizi per la città, e che presenta una densità di popolazione di appena 93 abitanti per chilometro quadrato. Il disegno che emerge dal gradiente spaziale della densità di popolazione, contribuisce alla connotazione della città notturna che, spesso, è complementare alle funzioni della città diurna3.

In conclusione, le periferie urbane sono una grande scommessa, le città del futuro su cui vale la pena investire in termini di risorse ed energie. Non bisogna costruirne di nuove, basta lavorare su quelle già esistenti, fertilizzarle con delle strutture pubbliche: la crescita deve essere implosiva anzichè esplosiva, costruire luoghi per le persone, punti d’incontro, privilegiare i trasporti pubblici e investire sugli ultimi dispositivi per facilitare la connettività urbana in modo responsabile (veicoli elettrici, veicoli autonomi condivisi etc).

Nelle periferie non bisogna distruggere, bisogna trasformare. Per questo occorre il bisturi e non la ruspa o il piccone.

Note:

[1] https://www.istat.it/it/files/2017/05/Urbanizzazione.pdf

[2] Ibidem p.5

[3] Ibidem p.16

  • Emiliano Patanè

    Laureato in Architettura, Emiliano è un progettista e Project Manager specializzato in interventi di riqualificazione e rigenerazione urbana. Scopri di più su Emiliano Patanè.

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